È quanto emerge da una indagine condotta dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare. Le compagnie impegnate nel settore, però, continuano a ritenere valido questo strumento.
Nell’ambito dell’indagine sull’offerta assicurativa in agricoltura, svolta nel 2020 dall’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) è emerso come, fra l’altro, nel 92,3% dei casi le compagnie sottoscrivano contratti di riassicurazione rischi (con riferimento ai rischi assunti con polizze agricole agevolate), trasferendo quote del portafoglio rischi anche elevate, fino a oltre il 70% in quasi il 40% dei casi. È stato evidenziato anche che le condizioni di riassicurazione tendono tuttavia a peggiorare (negli ultimi tre anni), per un implicito deterioramento dei ratio (inasprimento delle condizioni contrattuali, riduzione o selettività della capacità assuntiva, incremento delle tariffe) anche a carico delle compagnie di secondo livello.
La riduzione o selettività dalla capacità assuntiva, quando adottata, ha riguardato più che altro la composizione dei prodotti e delle aree geografiche e solo in misura minore le avversità (minore esposizione ai rischi catastrofali, in particolare, meno frequenti ma più severi in termini di potenziali danni alle produzioni) e la clientela.
Il trasferimento di parte dei rischi in capo a un riassicuratore resta tuttavia un elemento irrinunciabile a giudizio degli intervistati, visto che oltre il 90% delle compagnie ha affermato di confermare, se non ampliare, l’utilizzo di questo strumento in futuro. Quanto alla sua efficacia, il 77% dei rispondenti ha ritenuto che la riassicurazione, così come oggi strutturata, sia uno strumento comunque valido. Chi ha espresso un parere negativo lo ha fatto adducendo motivazioni economiche (costi troppo elevati) e di natura contrattuale (condizioni restrittive) e lamentando anche la presenza di un basso numero di operatori sul mercato della riassicurazione.
Fabio Sgroi
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