Per il sindacato nazionale agenti sono diversi i punti ancora da chiarire. E per questo ha coinvolto anche la politica.
«Purtroppo molte imprese hanno forzato la mano dei gruppi agenti, ottenendo il riconoscimento di prerogative tutt’altro che automatiche e tutt’altro che scontate, in capo alla mandante, nel trattamento dei dati dei clienti e nel riconoscimento della loro proprietà sul versante del diritto industriale». È questa l’analisi fatta da Claudio Demozzi, presidente del Sindacato nazionale agenti, riportata nella sua relazione illustrata nel corso dell’ultimo congresso elettivo di qualche settimana fa, a proposito degli accordi sottoscritti sui dati personali dei clienti.
Si tratta di un tema che è stato ed è al centro dell’attenzione del sindacato, al punto che alcuni componenti del precedente esecutivo nazionale (quello attuale è stato eletto da poche settimane) hanno anche frequentato uno specifico corso presso IlSole24Ore, durato diversi mesi (compresi i weekend), con l’obiettivo di acquisire conoscenze sufficienti per valutare, con maggiore consapevolezza, gli accordi dati che sarebbero stati posti all’attenzione del sindacato da parte delle rappresentative agenziali.
Per Demozzi, «di base non esiste un diritto automatico di proprietà sui dati quali segreto industriale, ma chi ha materialmente raccolto i dati è autorizzato a proteggerli dalla loro indebita divulgazione. A riprova di quanto detto, deve rilevarsi che non esiste ad esempio un diritto di trasferibilità sui dati; esiste, invece, la tutela dell’interesse del terzo i cui dati vengono sottratti: ciò implica risvolti pratici soprattutto se i dati in questione sono personali. Dovremmo quindi chiederci se il patrimonio aziendale costituito da tutti i dati raccolti nel tempo, possa o meno essere considerato come segreto industriale. E se, in caso di risposta positiva, tale segreto appartenga all’agente, oppure alle mandanti per le quali egli opera».
La questione è sicuramente rilevante, fa presente il presidente dello Sna, «anche in funzione del fatto che la proprietà dei dati dei clienti costituisce e costituirà sempre più nel futuro un rilevante valore economico per chi la detiene».
Ecco perché lo Sna raccomanda ai gruppi aziendali agenti di «astenersi dal sottoscrivere accordi che abbiano per oggetto questo delicatissimo argomento. O di farlo con il supporto del sindacato, coerentemente alla linea politico-sindacale di quest’ultimo. Ed ecco perché abbiamo intrattenuto direttamente tutti gli iscritti, per sensibilizzarli al tema della titolarità autonoma del trattamento dei dati dei clienti e della proprietà del database-clienti residente nel crm di proprietà dell’agente».
La normativa, almeno in parte, supporta le tesi del sindacato, secondo lo stesso Sna, in quanto stabilisce che la protezione dei dati personali «debba necessariamente essere contemperata con gli altri diritti quali la libertà di impresa, il diritto alla diffusione ed accesso alle informazioni ai fini di rendere effettivo lo sviluppo di un libero mercato comune in cui sia gli offerenti, che gli acquirenti possano muoversi liberamente, senza subire le posizioni dominanti di taluni operatori economici e senza subire le restrizioni derivanti dalle alterazioni della concorrenza da parte dei soggetti più forti nei confronti di quelli più deboli».
La convinzione dello Sna è che i diritti sui database, la connessa protezione dei dati personali in essi contenuti e la protezione del segreto industriale siano tre aspetti che, dato l’evolversi della situazione attuale, «non possano più essere scissi».
Per Demozzi è urgente «definire esattamente cosa sia il segreto industriale per le imprese e per le agenzie, quali siano le libertà imprenditoriali fondamentali che devono essere in ogni caso garantite agli agenti, anche sul campo del trattamento dei dati dei clienti. Questo compito, spetta certamente alla negoziazione di primo livello. Ma l’indisponibilità delle imprese a negoziare queste regole a livello generale, non deve essere preso ad alibi da alcuno per cedere alle pressioni delle singole compagnie che intendano ottenere, con la contrattazione aziendale, diritti per nulla scontati, spesso senza alcun corrispettivo e troppo spesso con modalità che nulla hanno a che vedere con la negoziazione».
Il presidente dello Sna ha ricordato che la normativa prevede che il consenso dell’interessato (il cliente) «debba rappresentare la manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile, con la quale lo stesso esprime il proprio assenso, mediante dichiarazione, o azione positiva inequivocabile, al trattamento dei dati personali che lo riguardano. L’interessato non deve ricevere pressioni per prestare il proprio consenso e deve essere debitamente informato sull’oggetto e sulle conseguenze della prestazione dello stesso. Il consenso al trattamento dei propri dati personali deve sempre poter essere revocato».
Si tratta di un punto ritenuto «fondamentale in relazione al fatto che, molto spesso, per la fruizione di determinati servizi o l’utilizzo di determinate piattaforme, l’utente, quale controprestazione del servizio stesso, è obbligato a rilasciarlo, senza essere debitamente informato di tutto ciò che verrà fatto con i propri dati. Sulla legittimità di molte situazioni, che viviamo quotidianamente o che, meglio, vivono quotidianamente i nostri clienti, sarà necessario svolgere precisi approfondimenti».
E infatti lo Sna ha coinvolto alcuni parlamentari ai quali, ha fatto sapere Demozzi, «abbiamo sottoposto la questione, convenendo che una via d’uscita potrebbe consistere nell’escludere per legge che i dati personali possano essere una merce negoziabile, con la conseguenza di impedire alle imprese di offrire servizi o vantaggi in cambio dei dati personali dei clienti».
Fabio Sgroi
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