Il nuovo general manager della sede italiana della compagnia australiana, nella sua prima intervista ufficiale a tre mesi e mezzo dalla sua nomina, spiega come intende muoversi e quali obiettivi intende raggiungere. E parla della relazione sempre più stretta con le società di brokeraggio e non solo…
Una esperienza trentennale fra Zurich e Allianz. Poi, il cambio di rotta, un ruolo di primo piano, maggiori responsabilità, ma anche una nuova sfida. Certamente la più impegnativa per Angela Rebecchi (nella foto a lato), chiamata dal 9 gennaio scorso a ricoprire ufficialmente il ruolo di general manager della sede italiana di Qbe Business Insurance, con l’obiettivo di sviluppare i rami property, casualty, professional e financial lines. «È una sfida importante non solo perché per la prima volta ricopro il ruolo di general manager e di rappresentante legale di una compagnia, ma anche per i settori di cui adesso mi occupo», spiega Rebecchi a tuttointermediari.it in quella che rappresenta la sua prima intervista ufficiale con la stampa, da quando ha assunto questo nuovo ruolo. «In passato, sia in Zurich, sia in Allianz, avevo consolidato la mia esperienza trentennale nel segmento large corporate; Qbe è un’azienda che ha un raggio di azione più ampio, coprendo tutta l’area del retail e del corporate, avvicinandosi in qualche modo a un mercato più vicino al perimetro economico di un paese come l’Italia. Per me, quindi, ciò rappresenta una novità».
Domanda. Il 2016 è stato un anno particolare per Qbe Italia. Fino ad aprile alla guida c’era ancora Piero Asso, poi il periodo di transizione con Thomas Huber e infine il suo arrivo, a gennaio scorso. In termini di risultati come è andata?
Risposta. Sì, per Qbe Italia il 2016 è stato sicuramente un anno di cambiamenti. L’uscita di una figura come quella di Asso, che aveva di fatto contribuito alla nascita e anche alla crescita della compagnia in Italia, ha rappresentato una svolta importante per questa società. Nonostante questo importante cambiamento, che come spesso avviene in tutte le aziende ha toccato gli equilibri interni dal punto di vista organizzativo, il 2016 ha fatto registrare risultati in crescita. La raccolta premi di Qbe Italia è stata pari al 31 dicembre dell’anno scorso a circa 70 milioni di euro e ha riscontrato delle crescite significative rispetto a quanto fatto dal mercato italiano. È l’ennesima riprova che questa realtà, con le sue particolari connotazioni e il suo perimetro di azione, si sposa molto bene con quella del mercato italiano, nonostante Qbe sia una società che opera in un numero limitato di segmenti. Il nostro portafoglio, infatti, è composto, più o meno in misura molto simile, dal segmento property e liability e per una parte inferiore, dal financial line, quindi prodotti D&O e Rc professionale. Questo è a oggi il nostro ventaglio di offerta sul mercato italiano.
D. È vero che state pensando di estendere la vostra presenza in altri segmenti di mercato? E se sì, in quali?
R. Nel 2016 è stato dato avvio a un progetto di ampio respiro, finalizzato all’ampliamento dei segmenti. Diciamo che sono state gettate le basi. Tutto nasce dalla spinta evolutiva che il Gruppo Qbe ha inteso dare alle sue branch in Europa, quindi in Spagna, Francia, Italia, Germania, Danimarca e Svezia, voluta e accelerata per creare delle realtà europee che potessero in qualche modo contrastare la mancata crescita rispetto ai trend passati del mercato inglese. Questo è stato un messaggio molto forte che il vertice del Gruppo Qbe ha cominciato a dare nel 2016 e che vedrà i suoi sviluppi significativi soprattutto dal 2017 in avanti. Le aree sono quelle che in parte le ho accennato: nell’ambito dei rispettivi segmenti ci sono sicuramente dei temi di prodotto specifici per aree definite e mi riferisco in particolare al mondo della Rc professionale. Un mondo molto vasto su cui Qbe sta proponendo delle piattaforme di prodotto che riguardano diverse aree e non solo quella delle attività più consolidate, più strutturate come possono essere per esempio quelle riferite ai notai, agli avvocati e agli architetti, ma anche aree di dettaglio più specifiche come quelle degli amministratori di condominio.
D. Da questo punto di vista, l’obbligo di sottoscrizione di una polizza Rc professionale per alcune categorie professionali ha dato una spinta al vostro business?
R. Sì e devo dire che questo è uno dei settori che, negli ultimi anni, ha garantito in generale a tutti gli operatori dei tassi di crescita significativi. Qbe ci crede in modo particolare e su questi settori ha sviluppato una competenza molto forte a livello europeo, anche con strumenti di valutazione del rischio abbinati alla soluzione assicurativa. In verità ci sono tante altre aree dove, a livello europeo, Qbe ha forti competenze. In questo momento stiamo valutando il tipo di strategia da proporre al mercato italiano, che certamente non è paragonabile a quello londinese sia per caratteristiche economiche, sia per la distribuzione, ma che comunque presenta ampie potenzialità.
D. Un mercato caratterizzato dalle Pmi…
R. In Italia ci sono tantissime aziende e la stragrande totalità appartiene a un segmento retail o small: questa è una peculiarità tutta italiana che nessun altro paese europeo ha. La dimensione delle nostra aziende, il tessuto economico, è un patrimonio incredibile su cui noi come assicuratori forse non abbiamo ancora trovato la soluzione giusta. Sicuramente è un segmento che sotto un profilo assicurativo deve ancora maturare, evolvere, pero è quello più importante, più interessante. Il settore corporate garantisce una stabilità di risultati e una minore esposizione alle volatilità dei portafogli. Questo è il segmento sul quale Qbe vuole concentrarsi insieme a quello del corporate di fascia media, aziende cioè con fatturato tra 100 milioni e 300 milioni di euro. (Nella foto sopra, un momento dell’intervista presso la sede italiana di Qbe in via Melchiorre Gioia a Milano, foto sotto)
D. Si parla spesso della difficoltà, da parte degli assicuratori, di far comprendere i reali rischi a cui possono andare incontro le imprese, ma anche gli enti pubblici, i sindaci e via dicendo. Cosa fare?
R. In questo siamo tutti accomunati: compagnie, intermediari, società di servizi, consulenti. Forse, rispetto ad altri paesi europei, noi sentiamo meno la cultura del rischio in generale. Nei mercati competitivi rispetto al fattore rischio, come possono essere Spagna, Francia, Germania e Inghilterra, ci sono delle soluzioni che in qualche modo aiutano ad avvicinarsi alla cultura del rischio sia il singolo, sia l’azienda. In Italia questo non c’è, non esiste. Eppure a livello europeo siamo uno dei paesi più esposti al rischio catastrofale; il risultato è che l’Italia è il paese che meno ha fatto da un punto di vista di cultura del rischio per garantire la copertura e la continuità del business in questo segmento. Credo che, in parte, questo approccio sempre un po’ scettico rispetto al tema polizza, servizio, soluzione, trasferimento di rischio sia di natura culturale.
D. Qbe Italia, come azienda, quindi a prescindere dal lavoro che fanno agenti e broker, incontra gli imprenditori?
R. Sì. Organizziamo incontri con associazioni di categoria e cerchiamo di focalizzare l’attenzione sulle soluzioni assicurative. È un po’ quello che sta facendo tutta l’industria assicurativa, a cominciare dalle associazioni, per esempio l’Anra e l’Aiba, anche in maniera più scientifica. Manca il contributo dello Stato proprio da un punto di vista di cultura e ciò non spinge gli imprenditori a pensare al fattore rischio. C’è anche da dire che il concetto di rischio, soprattutto negli ultimi 10 anni, si è molto modificato: si è passati da un rischio interno, intrinseco alla società, a un rischio esterno. In pratica tutto quello che prima poteva essere consolidato e definito all’interno della propria azienda oggi è più un fattore esterno.
D. Si parla molto dei nuovi rischi. E quello cyber è uno di questi. Qbe Italia come intende muoversi. Sta pensando a soluzioni di questo tipo?
R. Abbiamo dei prodotti su cui stiamo facendo delle riflessioni e che a breve lanceremo dal punto di vista commerciale. Quella legata al cyber risk è una delle aree su cui il mercato nazionale ha posto molta attenzione. Ma siamo ancora nella fase di approfondimento culturale, più che in quella proprio di vendita del prodotto. Siamo solo all’inizio.
D. Attraverso quali canali distribuite i vostri prodotti?
R. Qbe Italia lavora quasi esclusivamente con società di brokeraggio; oggi sono circa una sessantina. Il nostro dna ci porta ad avere fortissime relazioni e partnership con i cosiddetti global brokers, per noi strategici, ma il focus rivolto verso le piccole e medie imprese fa sì che le collaborazioni siano attivate anche con società di brokeraggio locali. Qbe Italia ha una grossa fetta di portafoglio riferito a enti pubblici e i broker intermediari distribuiti sul territorio italiano rappresentano per noi l’essenza della relazione col cliente, e per loro un punto di forza, che li rende ancora delle realtà importanti e vincenti a livello locale.
D. Intendete aumentare il numero delle collaborazioni?
R. Non abbiamo un obiettivo di incremento in questo senso, ma ciò non significa che il numero non possa crescere. Chiaramente il broker deve essere vicino al mondo delle aziende, conoscere i segmenti nei quali opera Qbe. Noi privilegiamo le relazioni costanti nel tempo.
D. Avete rapporti con gli agenti?
R. Pochi. Le collaborazioni, per la precisione, sono meno di dieci e tutte con agenzie plurimandatarie. Qbe non nasce come compagnia rivolta al canale agenziale; tuttavia non possiamo non rilevare come il mondo degli agenti, e della distribuzione in generale, sia in grande fermento. Non escludiamo, quindi, la possibilità di prendere in considerazione altre collaborazioni.
D. Accordi con banche?
R. Non ne abbiamo, ma in questo momento di spinta e di crescita niente è precluso. In questo, la strategia di Qbe è molto flessibile e sempre alla ricerca delle opportunità migliori.
D. Lei è a capo di Qbe Italia da tre mesi e mezzo. Che cosa le hanno chiesto i vertici del gruppo? Quali sono gli obiettivi per il 2017?
R. La mia mission è quella di portare avanti quel processo di cambiamento iniziato un anno fa e che vede Qbe Europa come una realtà importante nel segmento delle aziende e che può dare soluzioni personalizzate ed evolute, ma allo stesso tempo passibili di elasticità; di sviluppare quegli ambiti e quei prodotti che hanno potenzialità nel mercato italiano e quindi anche segmenti e aree nuove; di avvicinarmi ancora di più al mercato dei broker e a quello delle aziende di dimensioni medio grandi. Qbe è una realtà che ha la possibilità di giocare la propria partita su tavoli diversi e quindi la richiesta del gruppo è quella esplorare tutte queste possibilità e cercare in un paese come l’Italia di posizionarsi al meglio nei rispettivi settori. La presenza internazionale di Qbe consente inoltre alle aziende di estendere la loro attività anche all’estero e di ricevere supporto grazie alle sedi fisiche e alle partnership locali. Il gruppo sta investendo anche su questo.
Fabio Sgroi
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