Riccardo Cesari, consigliere dell’Ivass, ha fatto il punto nel corso di un recente convegno.

Inflazione ed effetti sul mercato assicurativo. Il tema è stato affrontato da Riccardo Cesari, consigliere dell’Ivass, nel corso di un recente convegno.
Con riferimento al ramo vita, il rialzo dell’inflazione e dei tassi di interesse nel 2022 ha avuto «l’immediato effetto di deprimere i corsi dei titoli a cedola fissa generando importanti minusvalenze latenti nei portafogli assicurativi», ha fatto notare Cesari. «Per di più, la diversificazione azioni-obbligazioni non è stata di ausilio nel corso del 2022 in quanto i rendimenti total return sono stati tutti pesantemente negativi tanto per le azioni (depresse dagli effetti globali della guerra) che per le obbligazioni (penalizzate da inflazione e tassi)».
Cesari, infatti, ha evidenziato come, con il cambio della politica monetaria, il tasso di riferimento della Banca centrale europea nel 2022 sia stato aumentato «per ben 4 volte, due volte di 50 punti base (27 luglio e 21 dicembre) e due volte addirittura di 75 punti base (14 settembre e 2 novembre), passando in meno di 5 mesi da 0 a 2.5%. L’effetto depressivo sui corsi obbligazionari è stato consistente (-24% per i Btp a 10 anni), persino superiore a quello del 2011, l’anno della crisi dei titoli di Stato».
Sul ramo vita giocano in particolare due aspetti: «da un lato il duration gap che, questa volta, essendo strutturalmente negativo (attività più corte delle passività), può portare un beneficio al valore del portafoglio netto, in presenza di rialzi generalizzati dei tassi, con spread (rischio di credito) stabile o addirittura in discesa; dall’altro il lapse risk che rappresenta un fattore di incertezza per la possibilità di estinzione anticipata dei contratti vita», ha sottolineato Cesari.
Se si fa riferimento al primo aspetto e si considerano i dati del 2018, «che si possono considerare ancora sufficientemente rappresentativi, le assicurazioni del nord Europa (Germania, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Svezia, Francia) sono certamente in una posizione di vantaggio, con un differenziale di duration (attivi meno passivi) tra 6 e 10 anni, superiore a quello medio europeo e multiplo rispetto a quello italiano, tuttora intorno a 2 anni», ha evidenziato il consigliere dell’Ivass. «Con riferimento al lapse risk, la presenza di un asset percepito come risk free con rendimenti che oggi, dopo una lunga latitanza, risultano decisamente positivi (almeno in termini nominali) può rappresentare un temibile concorrente per le gestioni di ramo I».
Cesari ha aggiunto che «in passato, l’innovazione finanziaria (in particolare l’indicizzazione ai tassi di interesse presente nei Certificati di credito del Tesoro) ha rappresentato uno strumento di successo in risposta alla variabilità dei tassi e alle esigenze di stabilità in conto capitale degli investitori, sia retail che istituzionali. Non è escluso che la medesima strategia possa ritornare utile nel nuovo scenario in cui i tassi d’interesse, non ancora stabilizzati, dovranno recuperare, sia pure gradualmente, valori reali positivi. Una diretta conseguenza, per il ramo vita, è il rischio di sovrastima del valore delle attività che, combinato con quello di mass lapse, può avere riflessi sui requisiti di capitale, soprattutto se la situazione di incertezza su inflazione, produzione e tassi dovesse permanere». (fs)
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