Pierpaolo Marano, membro del comitato scientifico del Cesia, trova «assurdo» che l’intermediario assicurativo professionista con due o tre milioni di raccolta premi sia sottoposto «a norme stringenti, ma la multinazionale no, con buona pace del principio di proporzionalità».

Le criticità del modello distributivo di oggi? Non riguardano solo alcuni aspetti legati alle sottoreti e alla integrazione operativa tra compagnie e intermediari. Secondo Pierpaolo Marano, professore di diritto delle assicurazioni e di diritto commerciale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e componente del comitato scientifico del Cesia (il Centro studi intermediazione assicurativa costituito dai rappresentanti dei gruppi agenti e delle associazioni dei broker per il confronto di conoscenze ed esperienze professionali), c’è una terza questione, che sta assumendo rilevanza con l’innovazione digitale data driven. È quella degli ecosistemi di business.
«Tra i grandi gruppi che offrono servizi attraverso piattaforme digitali (dalla grande distribuzione all’immobiliare) è diffusa l’incorporazione nell’offerta di componenti assicurative che fanno leva proprio sulla disponibilità di dati personali», ha evidenziato Marano. «Vale la pena ricordare, al riguardo, un aspetto normativo non a tutti noto: la direttiva sulla distribuzione dei prodotti assicurativi (e le corrispondenti norme nazionali) esenta le imprese di altri settori che offrono prodotti assicurativi dagli obblighi che sono in capo gli intermediari. Oggi, quindi, una grande multinazionale che offre polizze al di sotto un certo importo e collegate ai rischi dell’altro prodotto o servizio offerto non è soggetta alle regole sulla distribuzione assicurativa».
Marano, perciò, trova «assurdo che il professionista con due o tre milioni di raccolta premi è sottoposto a norme stringenti ma la multinazionale no, con buona pace del principio di proporzionalità». Come dargli torto?
Fabio Sgroi
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