lunedì 03 Novembre 2025

Il mondo dell’intermediazione assicurativa in primo piano

CARLA BARIN A RUOTA LIBERA SU TUTTO E “PASIONARIA” FINO IN FONDO

L’ex funzionario con procura delle Generali, ex agente e figura di spicco del Sindacato nazionale agenti, si confessa con tuttointermediari.it. E come al solito non le manda a dire. Il plurimandato? «Battaglia assurda», dice. La legge sulle collaborazioni? «Non ne avevamo bisogno». L’esperienza in Sna? «Bellissima». Sna il più grande sindacato degli agenti? «Solo sulla carta». E su Demozzi, Cirasola, Metti, Ccnl e Fonage dice…

 

Carla Barin (foto a lato) non è mai stata banale. Lei che è stata definita la pasionaria, non per caso. Anche in questa intervista rilasciata a tuttointermediari.it, l’ex funzionario con procura delle Assicurazioni Generali (per oltre 20 anni) ed ex segretario nazionale vicario del Sindacato nazionale agenti dice quello che pensa. Con il cuore in mano. Oggi fa la subagente, quando capita. «Diciamo che della grande agenzia per cui ho lavorato mi era rimasto un piccolo portafoglio di circa 400.000-500.000 euro. Così mi sono appoggiata a un mio carissimo amico e collega, Osvaldo Mazzuca, con cui collaboro quando c’è la necessità», dice. La sua è una storia lunga. «Prima di diventare agente sono partita dal ruolo di produttore di Generali prima e di dipendente amministrativo poi, fino a diventare funzionario con procura. Dopo 25 anni ho lasciato Generali per un diverbio con il direttore generale di allora. Lasciare il Leone è stato il più grande errore della mia vita. Mi sono messa sulla piazza e dopo 2-3 giorni mi erano arrivate già 4-5 proposte. Da lì in poi ho iniziato la mia carriera professionale da agente, durata altri 25 anni. Ho lavorato in Italia Assicurazioni, prima compagnia in Italia nei trasporti, con oltre 100 anni di storia. Poi è diventata Fondiaria Sai e poi Milano». Tanto quanto basta per avere visto tutto del mondo assicurativo. «Ho vissuto, tra le altre cose, anche l’era di Gavazzi».  

Domanda. Oggi come è cambiata la professione?

Risposta. Il cambio è stato ed è radicale. Quando ho cominciato io, facevo l’agente a Como, che era ancora una cittadina di provincia. Mi conoscevano tutti e quella di agente era una professione che aveva una sua immagine ben precisa, aveva un suo culto e cioè dare un servizio effettivo agli assicurati. Altro che la consulenza di cui si parla oggi….Negli anni Ottanta a un agente non sarebbe mai venuto in mente di non fornire un servizio di alta qualità all’utente. E per lui poteva davvero costruire la migliore polizza, un vero abito su misura. Oggi non è più così…

D. Qualche società di ricerca e di consulenza ha anche prefigurato una scomparsa della professione di agente da qui a qualche anno. Quale è la sua opinione?

R. L’agente oggi è un intermediario che è obbligato a vendere esclusivamente determinati prodotti. E questo al di là del fatto di essere monomandatario o plurimandatario, perché in un modo o nell’altro, l’agente deve sempre rendere conto alla compagnia rappresentata. Purtroppo da parte nostra, come categoria, abbiamo espresso da 20 anni a questo parte una fragilità, una debolezza e una incapacità di imporci con la nostra professionalità, seguendo pedissequamente le regole via via diverse imposte dalle mandanti. Nonostante ciò, ritengo che la figura dell’agente non sparirà, malgrado la presenza di internet, dei comparatori, dei social, ecc., perché il rapporto umano è insostituibile. L’uomo possiede determinate caratteristiche che gli consentono di trasmettere quei vantaggi di cui ha bisogno il cliente. Pensiamo solo alla gestione della fase del sinistro. È proprio in questa occasione che il cliente ha bisogno del suo agente e della sua esperienza.

D. Faceva riferimento a un agente ancora legato oltremodo alla mandante. La legge sul plurimandato, quindi, non ha cambiato nulla?

R. Il plurimandato non ha consentito all’agente di essere libero, indipendente, di avere la proprietà del portafoglio e di fare l’imprenditore nel vero senso del termine. Le dirò di più. Quella sul plurimandato è una battaglia assurda e che non ha senso in quanto l’accordo che regola il rapporto fra intermediari e imprese prevedeva già la possibilità di ripetere due – tre o più mandati. L’agente, quindi, poteva già scegliere allora. La Legge Bersani lo ha imposto, ma molti intermediari non sono all’altezza di svolgere l’attività di intermediazione per il tramite di più compagnie. Questa legge, al contrario, aveva l’obiettivo di aiutare il mercato assicurativo a essere più libero e sensibile, ad aumentare il suo indice di penetrazione presso la clientela. E le compagnie non hanno saputo cogliere questo messaggio.

D. E le collaborazioni fra iscritti alla sezione A del Rui?

R. Possono essere anche utili, ma non avevamo bisogno di una legge, perché la collaborazione fra colleghi è sempre esistita, e da una vita. Ci si arrangiava, sapendo di avere a che fare con un collega serio che mai sarebbe andato a tampinare il tuo cliente. Mi sembra assurdo che si sia arrivati a emanare una legge e che la dirigenza delle compagnie non abbia ipotizzato una situazione di questo tipo.

D. Quali consigli si sente di dare ai giovani che si affacciano adesso alla professione di agente?

R. La prima cosa che consiglierei è fare la gavetta come intermediario iscritto alla sezione E del Rui, a meno che non sia già inserito in una grande compagnia come produttore, quindi con una base di stipendio, con provvigioni e con tutto quanto spetta di diritto. Oggi, per svolgere l’attività di agente, ci vuole esperienza, perché un conto è fare il produttore e vendere una polizza e un conto è gestire una impresa. Quanti agenti iniziano l’attività con un portafoglio piccolo, magari di 800.000 euro o di un milione di euro e sono sicuri di sfondare perché convinti di possedere la capacità di produrre? Proprio con un portafoglio di questa entità è stato acclarato che il gettito provvigionale lordo è compreso fra i 18.000 euro e i 21.000 euro lordi all’anno. Se ho una impiegata, se devo pagare l’affitto, se il mio portafoglio è indiretto, se poi devo pagare le tasse e l’Inps quanto mi rimane in tasca? Neanche un centesimo…A mio parere il futuro dell’agente deve essere impostato in modo diverso; una delle soluzioni è sicuramente quella di costituire un’agenzia insieme ad altri soci. In questo modo le spese verrebbero divise, come anche i ruoli dei soci: c’è chi è più portato alla vendita, c’è chi al marketing, c’è chi all’organizzazione e insieme si fa squadra e si offre al cliente qualcosa di diverso. (Sopra, un momento dell’intervista presso l’abitazione di Carla Barin, a Merate, in provincia di Lecco)

D. Apriamo il discorso relativo al Sindacato nazionale agenti.

R. Ahi… (testuale).

D. Lei è stata una figura di spicco all’interno del sindacato di via Lanzone. Oggi cosa è lo Sna?

R. Sulla carta resta il più grande sindacato italiano rappresentativo degli agenti, ma nella sostanza non è più tale. Quando un sindacato licenzia e si vanta di aver fatto utili, mi riferisco al bilancio in surplus, evidentemente ha perso la bussola. Lo Sna non è un’azienda che deve fare profitto, è un’associazione di categoria che dovrebbe andare incontro a tutte le esigenze che la categoria manifesta. Oggi non esiste più la commissione legale, un tempo importantissima; se chiami il sindacato ti passano una persona che dà un consiglio, ma che non ha mai lavorato in agenzia. Prima, invece, c’era un servizio studiato ad hoc per il cosiddetto pronto intervento. Inoltre, c’è da dire che tutto quello che viene detto ai congressi del sindacato non viene mantenuto. La casa trasparente? È solo un ricordo e io non l’ho votata: nel gennaio del 2012, al congresso di Milano per eleggere il nuovo presidente dello Sna dopo Giovanni Metti, ho votato Roberto Salvi, che ha perso contro Claudio Demozzi solo per una manciata di voti. Ai miei tempi anche le elezioni erano diverse, dal momento che in giunta entravano gli “elettivi” scelti dalla base, coloro che si riteneva avessero più esperienza in ambito giuridico, legale e organizzativo. Oggi, al contrario, il candidato presidente si fa la lista e i componenti sono tutti degli yes-man.

D. Come giudica la sua lunga esperienza in Sna? Lei è stata vice segretario nazionale del sindacato, entrando nella giunta esecutiva nel 1983 al congresso di Perugia?

R. È stata bellissima, piena di soddisfazioni, di rapporti umani che allora esistevano. C’era una cordata umana di diversa caratura e lo Sna era veramente una famiglia. Oggi non c’è più nessuno che ti ascolta: chiami il presidente e non ti risponde. E la cosa più grave è che non ti fa neanche richiamare. C’è un distacco tra il vertice e la base, a parte quelle 120-150 persone che seguono il presidente nei comitati centrali. Demozzi è stato eletto per tre volte alla guida dello Sna, quindi evidentemente ha ragione lui, ma ha perso tutti quelli che sono rimasti a casa. (A sinistra, uno dei suoi tanti e “vivaci” interventi ai congressi Sna)

D. Nel 2010, al congresso di Bologna che doveva scegliere il dopo Ghironi, ha accarezzato l’idea di diventare il nuovo presidente dello Sna. Ha deciso all’ultimo minuto di affiancare Vincenzo Cirasola, una scelta tardiva che se fosse stata presa prima forse….

R. Sì. Gli errori sono stati due. Il primo è stato quello di voler troppo bene a Giovanni Metti (che vinse quelle elezioni, ndr), che è una bravissima persona e anche se non ha il phisique du rôle del grande sindacalista pensa sempre quello che dice e dice sempre quello che pensa. Il che è positivo. Quindi l’errore è stato quello di non voler fare lo sgambetto a Giovanni. Tuttavia ho pensato “vinca il migliore”, unendo le forze con Vincenzo Cirasola, personaggio che non è simpatico a tutti, ma è un uomo in gamba e un organizzatore che macina idee su idee. Ed è proprio su di lui che è stato commesso l’altro errore. Un errore di valutazione. Vincenzo spesso è criticato per la sua presunta “vicinanza” all’Ania. Ma io dico: se davvero fosse così potente da poter condizionare l’Ania perché allora non lo si sceglie per guidare lo Sna? Ben venga chi ci può portare in un terreno di trattativa, di mediazione, di dialogo…In ogni caso, alla fine la nostra lista ha superato il 35% delle preferenze. Le elezioni sono state vinte da Metti. A proposito di Giovanni: molti dei successi recenti dello Sna, come la legge sulle collaborazioni A con A e l’intervento dell’Antitrust teso a eliminare i paletti delle compagnie verso gli agenti, sono suoi. Sono partiti da lui. Bisogna sottolinearlo. E invece Giovanni ha ricevuto, alla fine del suo mandato, un trattamento indegno e indecente, da cui io mi sono dissociata.

D. Cirasola, poi, è stato fra i fondatori di Anapa…La spaccatura era inevitabile?

R. Quando c’è stato il congresso Sna di Milano (gennaio 2012), con l’elezione di Demozzi, a Cirasola vennero fatte delle proposte serie, concrete, per esempio un coinvolgimento sul Bipar e altri ruoli. Non solo le promesse non sono state mantenute, ma nemmeno ci sono state le scuse di Demozzi. Io dico che gli errori sono stati commessi da entrambe le parti.

D. Le è dispiaciuto aver firmato, in qualità di presidente del collegio dei probiviri dello Sna, il documento con cui si espelleva Cirasola dal sindacato nazionale agenti?

R. Tantissimo. Non ci ho dormito per mesi. Il suo comportamento, però, è stato così plateale che in un certo senso se l’è andata a cercare. L’ho pregato fino all’ultimo di presentare le dimissioni. Quei momenti li ricordo come un incubo. (A destra, Barin è con Cirasola)

D. Lei crede ancora in un’unica associazione di categoria o in un unico sindacato a tutela di tutti gli agenti di assicurazione?

R. Non ne sono molto convinta, perché la colpa di questa situazione non è di Demozzi e neanche di Cirasola. È degli iscritti. Che cosa succederebbe se questi non versassero più un euro a Sna e Anapa motivando questa scelta con il fatto di volere l’unità della categoria? Non siamo forse noi ad applaudire quanto viene detto ai congressi pur sapendo perfettamente che al 70% non è vero? Oggi, il gruppo più forte e quello dei non iscritti, che continuano ad aumentare.

D. Ccnl dei dipendenti delle agenzie in gestione libera e Fondo pensione agenti. Due temi assai delicati. Come sono stati gestiti, secondo lei?

R. Per quanto riguarda il Ccnl parto dal presupposto che il 90% delle nostre agenzie è retto da dipendenti di primissimo livello, che potrebbero benissimo fare anche i dirigenti di compagnia. E se vuoi avere buoni risultati e buona fedeltà, e allora devi pagare. Quella del Ccnl è una guerra fra poveri. E siccome un sindacato tutela i più deboli mi è parso un atto becero e antisindacale andare a creare un altro contratto, un escamotage scaltrissimo di Demozzi. Fossi stato in esecutivo non lo avrei firmato. Molti agenti lamentano la crisi di redditività delle agenzie e l’impossibilità di pagare i dipendenti, ma dov’erano quando le compagnie hanno imposto loro l’abbassamento delle provvigioni? Hanno firmato la riduzione oppure no? Io non l’ho mai fatto…

D. Se fosse agente quale contratto applicherebbe?

R. Quello, oggi, di Anapa.

D. Capitolo Fondo pensione agenti.

R. È uno schifo. Reputo che sia stato gestito malissimo. Il fondo poggia su regole attuariali insindacabili: ora è possibile che nessuno si sia accorto che negli ultimi 20 anni la vita si è allungata? Il primo errore, quindi, è stata la mancata applicazione della tecnica attuariale. Altra cosa: quando è stato comunicato agli agenti di pagare una parte aggiuntiva, questi l’hanno fatto, ma poi non è stato osservato quel minimo di buon senso che poteva portare a risultati ben diversi. Il fondo viene premiato come il migliore in Europa e poco dopo si fanno tagli dal 40% al 60%, chiedendo alle vedove di restituire quanto dovuto ai mariti?

D. Succede anche questo?

R. Sì ed è indegno. È successo a me, ma anche ad altri. Mi stanno trattenendo dal conto corrente d’ufficio 93 euro a bimestre (ultima trattenuta a luglio) che mio marito Roberto Ulissi (scomparso a febbraio dell’anno scorso, anche lui figura storica dello Sna, ndr) aveva percepito quando era ancora in vita. Ha capito? Chiedono la restituzione di soldi a uno che non c’è più…non lo fa neanche Equitalia. I diritti acquisiti sono inconfutabili. E quello che stranisce è il silenzio tombale da parte di tutti. Lo Sna avrebbe dovuto mettere a fuoco e fiamme l’Ania, non rifiutando qualunque proposta a priori. Io sarei andata al tavolo, avrei discusso col commissario e avrei ricercato la soluzione meno dannosa. Sono delusa e demotivata…A proposito: le sembra normale che il presidente dello Sna non sia iscritto al Fondo?

D. Immagini per un attimo di ricoprire la carica di presidente dello Sna? Quali sarebbero state le priorità?

R. L’immediata apertura di un tavolo per discutere, in bene o in male, l’accordo nazionale impresa agenti; le compagnie lo considerano scaduto, però per esempio continuano a prendere la rivalsa. Come minimo hanno il dovere i tutelare le reti agenziali e riaprire il tavolo. In questo senso avrei dato regolarità, impedendo l’avanzamento di trattative interne fra mandanti e gruppi agenti. Poi sarei andata a discutere con Covip e in collaborazione con il commissario straordinario il vero iter del fondo pensione, scongiurando tagli così elevati. Terza cosa: avrei cercato di riavvicinare Sna e Anapa coinvolgendo la base con un congresso nazionale aperto. E avrei fatto leva anche sui non iscritti.

D. L’anno prossimo compirà 80 anni. Come le piacerebbe festeggiare?

R. Rimango in tema. Mi piacerebbe festeggiare al tavolo con Demozzi e Cirasola e le rispettive giunte esecutive, con i due a stringersi la mano e a fare pace. Definitivamente.

Fabio Sgroi

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