martedì 21 Ottobre 2025

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BROKER E INCENTIVI: COSA DICONO LE NORME? E COME SI APPLICANO? IL PUNTO DI NIDIA BIGNOTTI

L’avvocato ha analizzato le prospettive applicative delle regole per gli intermediari iscritti nella sezione B del Rui, partendo da quanto recita il nuovo articolo 68 bis del Regolamento Ivass 40/2018. E la situazione non appare del tutto delineata… 

  

Nidia Bignotti

Quale è la relazione fra i broker assicurativi e gli aspetti normativi legati agli incentivi? E soprattutto c’è una relazione? E se sì, come si applicano le regole?  Il tema è stato affrontato dall’avvocato Nidia Bignotti, dello studio legale BdA Bignotti e d’Acquarone, nel corso di un recente webinar dal titolo Gli incentivi nell’intermediazione assicurativa, organizzato dalla Fondazione Severo Galbusera e dall’Associazione internazionale di diritto delle assicurazioni (sezione Veneto Trentino Alto Adige).

Il tema è assai delicato e spinoso. Perché se è vero che oggi si ha una disciplina tecnica in materia di incentivi è altrettanto vero che la sua applicazione è alquanto complessa. Bignotti, in particolare, ha analizzato la concreta applicazione delle regole e precisamente delle prospettive applicative per i broker, partendo da quanto recita il nuovo articolo 68 bis del Regolamento Ivass 40/2018.

«Il rapporto fra broker e incentivi è apparentemente di antitesi, contraddittorio», ha esordito l’avvocato. «Si ricorderà la “famosa” sentenza del Consiglio di Stato del 2012 che confermò la sanzione irrogata dall’allora Isvap a Zurich per avere riconosciuto a un broker su alcune polizze da questo intermediate sovra provvigioni collegate a obiettivi di saldo tecnico. Questo riconoscimento è stato ritenuto dal Consiglio di Stato, prima ancora dal Tar del  Lazio e dall’Isvap stesso. La sentenza fece riferimento all’assoluta incompatibilità con l’osservanza dei doveri di imparzialità e di indipendenza che gravano sui broker».

Si è trattato, secondo Bignotti, di un caso «limite, giacché, precisava la sentenza, Zurich retrocedeva al broker un importo che poteva raggiungere a seconda dell’andamento dei sinistri anche il 50% dei premi incassati. Tuttavia rimane il principio di diritto affermato dal Consiglio di Stato: assoluta incompatibilità tra incentivi e dovere di indipendenza».

È un principio ancora valido? «Ritengo di no», ha sottolineato Bignotti, «perché dopo questa pronuncia il quadro normativo è cambiato completamente». E lo ha spiegato in questo modo: «La legge del 1984 che ha istituito l’albo dei mediatori è stata abrogata dal Codice delle Assicurazioni. Quello di oggi è un quadro normativo più complicato e complesso, e certamente non meno rigoroso di quello precedente. Tuttavia non si può dire che l’attuale quadro accolga il modello del divieto assoluto, per la categoria dei broker, di ricevere compensi o incentivi dalle compagnie o comunque da soggetti terzi. Il divieto assoluto, infatti, è previsto limitatamente all’attività di distribuzione di prodotti assicurativi di investimento mediante consulenza su base indipendente e, quello che più conta, non è stabilito con riferimento a una specifica tipologia di intermediario».

Si tratta, quindi, di una soluzione «perfettamente coerente» con la vigente normativa europea, «la quale non riguarda tanto i soggetti intermediari, quanto piuttosto l’attività di intermediazione. Si può quindi ritenere che, salvo che nel caso della consulenza in materia di investimenti fornita su base indipendente, anche quando il distributore è un broker, il riconoscimento del compenso monetario debba essere verificato concretamente, caso per caso».

CONFORME ALLE NORME – Dunque come deve comportarsi concretamente e operativamente il broker per essere conforme alle norme? Il primo passo, secondo l’avvocato, è quello di aggiornare le misure organizzative e le procedure rispetto alle nuove regole, in modo tale da poter gestire anche i conflitti di interesse sugli incentivi. «Quando il compenso al broker è corrisposto da un soggetto diverso dal cliente può sussistere una situazione di conflitto di interessi, ciò tanto più quando il compenso varia in dipendenza del tipo di contratto stipulato o della compagnia con cui il contratto è stipulato», ha fatto presente Bignotti. In altre parole: «Il compenso corrisposto da un soggetto diverso dal cliente è un potenziale pericolo che deve essere scongiurato o neutralizzato con l’imposizione all’intermediario degli obblighi di adottare misure preventive di organizzazione e di corretta informazione al cliente».

Al centro della disciplina degli incentivi, quindi, ci sono le policy in materia di conflitti di interessi e le regole di trasparenza. «Riguardo la policy va prestata molta attenzione perché al broker non  basta adottare e mantenere aggiornata una policy di rilevazione e gestione degli incentivi per essere esenti da responsabilità risarcitorie», ha osservato Bignotti. È necessario, pertanto, che la policy risulti «oggettivamente idonea, efficace e adeguata alla tipologia di distribuzione a quelle che sono le attività svolte, i prodotti assicurativi venduti, alla dimensione di business. Nella pratica», ha riconosciuto l’avvocato, «soddisfare questi requisiti non è sempre facile. Alcuni intermediari sono persuasi che il richiamo e l’osservanza delle norme etiche e dei codici deontologici, per esempio quelli adottati dalle associazioni di categoria, possano essere sufficienti da sole, senza quindi necessità di ricorso a modalità e procedure organizzative più articolate. O addirittura si sceglie consapevolmente di non adottare nemmeno le misure organizzative semplici, ritenendo a mio avviso a torto che per evitare responsabilità sia bastevole l’informativa al cliente sulle remunerazioni e sugli incentivi».

Per Bignotti, in definitiva, non ha fondamento normativo l’equiparazione tra disclosure sui conflitti di interesse e informativa sugli incentivi. «Sono due cose diverse», ha affermato. «Se certamente è esatto che l’idoneità e adeguatezza dei modelli organizzativi di prevenzione dell’insorgenza dei conflitti debba essere valutata caso per caso e quindi debba essere valutata tenendo conto delle dimensioni degli intermediari oltre che della sua tipologia e naturalmente della relativa capacità di spesa, tuttavia la sottovalutazione della rilevanza dei precetti organizzativi potrebbe rivelarsi  nella pratica una decisione sbagliata. La misura della trasparenza sui conflitti di interesse, infatti, dovrebbe essere utilizzata esclusivamente come ultima risorsa, cioè solo  nei casi in cui le misure organizzative non siano sufficienti ad assicurare nella situazione specifica che l’attività di distribuzione venga eseguita nel miglior interesse del cliente».

Ne consegue, quindi, che né l’informazione sulle remunerazioni e gli incentivi, né la disclosure sui conflitti di interesse «possono esentare quindi l’intermediario dall’obbligo di mantenere e attuare adeguate misure organizzative proporzionate alla sua capacità di sostenere i costi. L’intermediario che si affidasse in toto alle sole misure di informazione commetterebbe pertanto una violazione. E proprio la disclosure potrebbe essere utilizzata dall’attività di vigilanza in sede ispettiva come mezzo di verifica dell’illecito».

SANZIONI AMMINISTRATIVE – In ordine al rischio di sanzioni amministrative, ha aggiunto Bignotti, «va considerato che, secondo la giurisprudenza, l’eventuale mancanza di nocumento per il cliente è però da ritenersi rilevante». Si tratta di sentenze pronunciate in ambito Mifid ma «vista l’affinità  possono senz’altro riguardare anche il settore dell’intermediazione assicurativa. E quindi meritano attenzione dato che le sanzioni possono essere molto pesanti e ancor di più i loro riflessi reputazionali». Non solo. Va considerato anche che, «una volta accertata la violazione da parte dell’autorità di vigilanza, il cliente che avesse subìto un danno a causa dell’incidenza dell’interesse di conflitto sarebbe molto agevolato nell’invocare la responsabilità civile dell’intermediario».

Fino a oggi il contenzioso civile in materia di incentivi in ambito Mifid è stato «pressoché inesistente», ma Bignotti ha ricordato come la normativa sia «assai recente. Oggi non è possibile prevederne l’evoluzione futura, quindi meglio fare molta attenzione». In altre parole, l’intermediario «dovrebbe anche dotarsi di uno specifico sistema sanzionatorio atto a scoraggiare le condotte scorrette da parte di tutti i destinatari delle misure, similmente a quanto richiede il modello di organizzazione e gestione di cui al Decreto Legislativo 231. È quindi in questa ottica che vanno attentamente controllate anche le politiche di remunerazione dei dipendenti e dei collaboratori; in particolare vanno controllati gli incentivi premianti che possano indurre effetti discorsivi sulla condotta del personale come per esempio i bonus legati al collocamento di prodotti specifici o indice di produzione solamente quantitativi».

Insomma, ha spiegato Bignotti, l’applicazione di tutte queste regole è tutt’altro che agevole. «Non è facile, per esempio, assicurare la qualità dell’incentivo e gli stessi criteri che sono indicati dal recente Provvedimento Ivass 97/2020 appaiono talvolta equivoci. Ricordo che già l’analoga disciplina Mifid aveva suscitato notevoli dubbi interpretativi per esempio non risultando chiaro se il miglioramento della qualità del servizio che legittima gli incentivi debba riferirsi al singolo cliente a cui viene offerta l’intermediazione o possa invece riguardare la generalità dei clienti dell’intermediario». Si tratta di questioni che attualmente sono aperte e, ne è convinta Bignotti, «sono destinate  a rimanerci ancora a lungo».

CONCLUSIONI – Le conclusioni: «In un mercato come quello italiano che forse non è ancora maturo per accogliere un modello distributivo organizzato intorno a consulenti indipendenti remunerati soltanto con commissione pagata direttamente dal cliente», ha affermato Bignotti, «il rischio è che regole sempre più stringenti eliminino gli incentivi “cattivi” a costo però di trasformarli in compensi “opachi”, con buona pace della tanto ricercata e auspicata trasparenza verso il cliente».

Fabio Sgroi

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