tuttointermediari.it lo ha chiesto alle associazioni degli intermediari assicurativi agenti e broker. Ed ecco come hanno risposto…
L’uscita di Unipol dall’Ania ha destato molto scalpore. Se non altro perché stiamo parlando della prima compagnia danni del mercato (UnipolSai). In pratica Unipol ha seguito le orme della Fiat di Sergio Marchionne, che ha detto addio a Confindustria. Che cosa vuol dire tutto questo? Si può parlare di crisi del mondo dell’associazionismo? tuttointermediari.it ha sentito le associazioni degli intermediari assicurativi, agenti e broker, e all’appello hanno risposto l’Associazione di categoria brokers di assicurazioni e riassicurazioni (Acb), l’Associazione italiana brokers di assicurazione e riassicurazione (Aiba) e l’Associazione nazionale agenti professionisti di assicurazione (Anapa).
IL MONDO DELL’ASSOCIAZIONISMO E’ IN CRISI? – «Quello dato da Unipol è sicuramente un segnale forte», esordisce Luigi Viganotti (foto a sinistra), presidente di Acb, «e ricalca la stessa decisione assunta da Fiat nei confronti di Confindustria». Tutto questo che cosa vuol dire? Che il mondo dell’associazionismo è in crisi? «Non mi pare che dopo l’addio dell’azienda di Marchionne la Confindustria sia andata in crisi», risponde Viganotti. «Non credo, quindi, che per il mondo dell’associazionismo si possa parlare di crisi, però mi piacerebbe conoscere le reali ragioni per cui Unipol ha preso questa decisione».
Carlo Marietti, presidente di Aiba, ammette: «Certamente il mondo delle associazioni un po’ in crisi è; basta guardare i numeri delle organizzazioni sindacali. Poi bisogna capire che cosa si intende per crisi. Ci riferiamo ai rapporti interni fra gli associati e quindi al grado di rappresentatività? Oppure alla valutazione sociopolitica che si fa delle associazioni, da parte di coloro che sono all’esterno?». E sulla scelta di Unipol aggiunge: «Non condividere le modalità di gestione dell’Ania, come abbiamo letto sui giornali, vuol dire tutto e niente. A mio parere si esce da un’associazione dopo anni di confronti e discussioni infruttuose, e in questo caso non è detto che l’associazionismo sia in crisi, oppure si può uscire in modo più drastico se non si crede nell’associazionismo e si vuole elaborare una progettualità autonoma. E allora in questo caso potrei dire che l’associazionismo può essere in crisi», dice Marietti.
Alessandro Lazzaro (foto a destra), vicepresidente di Anapa, dice la sua: «La decisione di Unipol si presta a diverse interpretazioni, ma deve essere valutata alla luce delle dichiarazioni del ceo di UnipolSai. Credo si pongano anzitutto alcune questioni che vanno affrontate a monte e non a valle, come per esempio il tema della concorrenza e della concentrazione di quote di mercato. Probabilmente il limite del 30% di concentrazione è troppo elevato per poter garantire una vera concorrenza, perché se poi chi ha la quota più rilevante è in condizione di destabilizzare il sistema assicurativo con iniziative dirompenti si crea uno squilibrio ancora maggiore rispetto a quello che c’è già. È un ragionamento che ritengo dovrebbe essere sviluppato dall’Agcm come elemento di sensibilizzazione per il legislatore, mentre invece pare che l’attenzione sia prevalentemente incentrata su aspetti che riguardano i rapporti tra i distributori e le imprese», sottolinea Lazzaro. Ma quali ripercussioni si avrebbero dall’uscita di UnipolSai? «Prendiamo la convenzione Card che è gestita dall’Ania e che governa il risarcimento diretto: UnipolSai dirà addio anche alla convenzione Card? E se sì, oltre a penalizzare i clienti UnipolSai, ciò non penalizzerebbe a cascata anche tutti gli altri utenti? E che ne sarà della proposta Ania relativa al piano di riequilibrio del Fondo pensione in assenza della parte che, in proporzione alle sue quote, dovrebbe versare il maggior importo?», si chiede il vicepresidente di Anapa.
«Non so se tutto il mondo dell’associazionismo è in crisi, credo lo sia un modo di fare associazionismo che deve darsi maggiore flessibilità ed essere più aperto ad accogliere posizioni articolate e diverse perché è evidente che le omologazioni di alcuni anni fa non esistono più e si rischia altrimenti di rappresentare esclusivamente una parte preesistente», afferma Lazzaro.
ESSERE AL PASSO CON I TEMPI – Cosa deve fare un’associazione per stare al passo con i tempi? Come dovrebbe evolvere? «Chi gestisce un’associazione deve fungere da portavoce degli iscritti, quindi si è al passo con i tempi nel momento in cui si è in sintonia anche cronologicamente con il sentire dei soci. Le associazioni non sono spa o srl, dove c’è un socio di maggioranza che incarica un amministratore delegato o unico di gestire la baracca», risponde Marietti (foto a sinistra). «Le linee di fondo, le linee guida, l’individuazione dei progetti e dei programmi e del posizionamento non possono essere frutto delle riflessioni di una persona sola».
Per Viganotti le associazioni devono essere in grado di «rinnovarsi seguendo l’andamento del mercato globale e mettendo in primo piano tutto ciò che riguarda il bene comune, quindi il bene degli associati e della categoria che si rappresenta». Può sembrare un concetto scontato, ma non lo è. «Se si fanno sempre e solo discorsi corporativistici non si andrà lontano. Però non si può prescindere dal far parte di un’associazione, perché chi porterebbe avanti certe questioni a livello istituzionale? Il confronto in sede associativa, comunque, ci deve essere, con l’obiettivo di ricercare un obiettivo comune. Questo può essere fatto solo all’interno della stessa associazione», sottolinea Viganotti.
Lazzaro, dal canto suo, punta l’indice sull’assetto attuale delle associazioni (con riferimento agli agenti), che «non è più rappresentativo, se non di una minoranza nemmeno troppo rilevante, di una categoria frastagliatissima. Oggi tre organizzazioni nazionali (Sna, Anapa e Unapass) raccolgono complessivamente molto meno della metà degli agenti», dice. «È evidente che questa modalità di rappresentare interessi collettivi non è più funzionale e temo lo sarà sempre meno perché non è più immaginabile, in un mercato velocissimo e in continua trasformazione, poter considerare che tutti i colleghi abbiano gli stessi problemi. Già mettere sullo stesso piano chi opera in forma societaria con chi, invece, lavora come ditta individuale è un errore. Così come i problemi di chi ha un’organizzazione di agenzia rilevante sono diversi da chi gestisce il proprio lavoro da solo. I modelli di omologazione non funzionano più. Anapa due anni fa ha fatto una scelta, quella di considerare i gruppi agenti coessenziali e centrali e credo che questo possa far riavvicinare gli agenti a un’associazione di categoria che altrimenti vedrebbero lontana. Altro aspetto è quello legato al ruolo: noi ci definiamo professionisti e quindi imprenditori, e quindi cerchiamo di coniugare visione del mercato, livello di servizi per gli associati, tutele di interessi economici ma, soprattutto, capacità di attrarre le nuove generazioni smettendo di costruire politiche per chi c’è già a discapito di chi ci sarà».
Fabio Sgroi
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